10. I 8 Re di Napoli
- centericsilla
- 27 ott
- Tempo di lettura: 5 min

Dopo una ricca e dolce colazione, la zia prese Beni per mano e si diressero verso uno dei luoghi più belli della città: il Palazzo Reale e l’immensa Piazza del Plebiscito.
Quando arrivarono, Beni rimase a bocca aperta. La piazza era così grande che sembrava che anche cento ricci potessero starci comodamente! Ovunque c’erano bambini che correvano, giocavano a pallone e ridevano. Una signora anziana con un cappello bianco li osservava sorridendo e badava a loro. I turisti passeggiavano e scattavano fotografie. Facevano continuamente selfie. Ogni momento succedeva qualcosa di interessante.
La zia si chinò verso Beni e, seria ma affettuosa, disse:
– Beni, ora rimani qui in piazza finché non torno. Non allontanarti, va bene?
Beni annuì con serietà e promise anche con una piccola stretta di mano.
Non passò molto tempo prima che i bambini notassero il piccolo arrivato. Con un sorriso, lo invitarono subito a unirsi a loro. Non importava che Beni fosse un riccio, a Napoli l’amicizia era più importante di tutto!
Una bambina dai ricci neri disse:
– “Guagliò!” – così chiamano i bambini qui, come dire “Ehi, piccoletto!”
– Ehi, sei il nostro nuovo amico? Allora giochiamo al Passaggio Segreto. Il gioco di Benvenuto!
Beni guardò curioso.
– Cos’è il Passaggio Segreto? – chiese.
Un bambino cominciò a spiegare con entusiasmo:
– Vedi quei due grandi cavalli davanti al palazzo? Un tempo, chi riusciva ad attraversarli a occhi chiusi senza cadere, vedeva realizzato un desiderio!
– Ma funziona solo – aggiunse un altro
– se sussurri una parola segreta!
Gli occhi di Beni si illuminarono di eccitazione.
– Posso provare anch’io?
– Certo! – esclamarono i bambini e, sorridendo, lo guidarono verso un punto speciale della piazza, davanti alla guardiola del Palazzo Reale. C’era un piccolo cerchio di pietra sul pavimento.
– Da qui devi partire! – spiegò un bambino, mentre un altro gli legava delicatamente una benda sugli occhi.
– Ora cammina dritto – aggiunse un altro
– fino a passare tra i due cavalli!
Beni prese un respiro profondo e, con le piccole zampe spinose, cominciò a camminare con cautela. Nel frattempo, sussurrava la parola che i bambini gli avevano insegnato: “Coraggio!” Dopo un paio di passi incerti, una fresca brezza marina gli accarezzò il pelo e sentì il sole scaldargli le spine, mentre l’odore del mare gli solleticava il naso. Avanzò con coraggio… alla fine sentì di avercela fatta, ma quando si tolse la benda, vide deluso di aver mancato i due cavalli.
Abbassò lo sguardo e sospirò un po’ triste.
– Non ce l’ho fatta… – disse piano.
I bambini, però, si radunarono subito intorno a lui, sorridendo, e una bambina gli accarezzò gentilmente la testa.
– Non essere triste, Beni! – rise.
– Sai, nessuno è mai riuscito! È una prova antica e magica!
Un altro bambino si sedette accanto a lui sulla pietra della piazza e cominciò a raccontare:
– Non essere triste, Beni! – rise. – Sai, nessuno è mai riuscito! È un po' un gioco magico. Alcuni dicono che la regina Margherita, in passato, lanciava una sorta di sfida ai prigionieri che volessero la libertà. Dovevano provare a fare quello che hai fatto tu, ma nessuno ce l'ha mai fatta, forse per una piccola maledizione o per via delle imperfezioni della piazza che non permettono di camminare perfettamente dritti.
Il cuore di Beni si riscaldò ascoltando la storia. Il fallimento improvvisamente non sembrava più così triste. Aveva avuto coraggio nel provare, e questo era ciò che contava!
– La prossima volta riproverò! – dichiarò con decisione.
I bambini applaudirono con entusiasmo e si lanciarono in un nuovo gioco nel mezzo della piazza.
Il tempo volava tra i bambini e i giochi. Non si fermavano mai. Un gioco seguiva l’altro: strummolo, una trottole di legno con corda; poi
'e pallime, un gioco con piccole biglie; o
‘o ruzzolo, dove si facevano rotolare dei piccoli dischi sul pavimento per vedere chi arrivava più lontano… e molti altri ancora.
Il sole ormai inclinato illuminava Piazza del Plebiscito, e le pietre brillavano come oro. Beni e il piccolo gruppo si avvicinarono al Palazzo Reale e si fermarono davanti alla gigantesca facciata.
– Guarda, Beni! – indicò Antonio. – Lì sopra ci sono i re di Napoli!
Beni alzò gli occhi: otto statue lo guardavano dall’alto, serie ma dignitose. Ognuna con un abito e una corona diversa – sembrava che ciascuno rappresentasse un capitolo della città.
– Tutti loro hanno governato qui? – chiese Beni, stupito.
– Sì – annuì Antonio.
– E ognuno ha fatto qualcosa che ha cambiato un po’ Napoli.

Gennaro iniziò a raccontare:
Ruggero, il re normanno
– Fu il primo a costruire una città forte vicino al mare. Fece erigere castelli, torri e mura affinché Napoli fosse al sicuro.
– Era come una grande guardia del corpo! – disse Beni ammirato.

Anna continuò:
Federico II, l’Imperatore Sapiente
– Non era solo un sovrano, ma anche un filosofo. Fondò scuole e biblioteche, e diceva: “La conoscenza è più forte della spada.”
– Allora avrebbe potuto essere il mio professore riccio! – rise Beni.

Giovanni prese la parola:
Carlo I d’Angiò
– Veniva dalla Francia, fece costruire palazzi e chiese, e portò con sé anche il segreto dei dolci francesi a Napoli.
– Allora è grazie a lui se la colazione napoletana è così buona! – esclamò Beni entusiasta.

Carmelina continuò con entusiasmo:
Alfonso d’Aragona, il Re dei Mari
– Fece costruire il Castel Nuovo vicino al porto e diceva: “Il cuore di Napoli è il mare.”
– Allora sicuramente faceva amicizia anche con i pesci! – rifletté Beni.

Sandro, sistemandosi gli occhiali, proseguì:
Carlo V, l’imperatore Asburgo
– A lui si deve il rafforzamento delle mura della città, in un’epoca in cui molti volevano conquistare Napoli.
– È come un riccio spinoso che si difende da solo! – rise Beni.

Lina sorridendo indicò il successivo:
Carlo III di Borbone
– Fece costruire il Palazzo Reale, proprio dove ci troviamo ora. Amava l’arte e desiderava che Napoli fosse bellissima.
– Allora è grazie a lui se questa piazza è così bella! – disse Beni felice.

Francesco raccontò il seguente:
Gioacchino Murat, il Re Coraggioso
– Era il cognato di Napoleone e voleva modernizzare la città. Diceva:
“Il popolo di Napoli deve essere un popolo libero!”
– Sicuramente amava i cavalli veloci! – rise Beni.

Infine Carmen indicò l’ultima statua:
Vittorio Emanuele II, il Re dell’Unità
– Fu il primo re dell’Italia unita. Ai suoi tempi Napoli tornò a essere il cuore del Paese.
– Lui può essere il simbolo incoronato della pace! – disse Beni con gli occhi che brillavano.
I bambini si sedettero nel mezzo della piazza. Sopra le statue, la luce del sole diventò arancione e sembrava che un piccolo sorriso attraversasse i volti dei re.

– C’è anche un’altra storia – aggiunse Federico misteriosamente.
– Quando portarono qui queste statue, il re chiese: “E il nono dov’è?” Gli scultori si guardarono tra loro e risposero: “Non sono stato io… non sono stato io, è stato lui!” Da allora, se a Napoli qualcuno commette un errore, si dice solo: “Non sono stato io… è stato lui!” – e tutti ridono.
Beni guardò i giganti di pietra con un sorriso.
– Secondo me, coraggio, conoscenza e senso dell’umorismo… queste tre cose sono la vera corona di Napoli.
– E chi l’ha detto? – chiese Bea.
Le statue rimasero in silenzio, ma sembrava che una, forse Ferdinando dal Naso Grande, rispondesse piano:
– Non sono stato io… non sono stato io, è stato lui!
E la piazza si riempì di nuovo di risate.

Commenti