5. La magia della mattina
- centericsilla
- 13 ott
- Tempo di lettura: 4 min

La mattina dopo Beni si svegliò presto. Dalla finestra della sua stanza la brezza marina salata carezzò delicatamente le sue spine. Inspirò profondamente un’aria che era così diversa da quella della foresta di casa — fresca, giocosa e un po’ solleticante.
Quando lo stomaco gli brontolò rumorosamente, sua zia entrò nella stanza con un sorriso.– Buongiorno piccolina! – lo salutò – Oggi ti porto in un posto speciale! Beni saltellò eccitato. Prese in fretta la sua piccola borsa — naturalmente con il binocolo dentro — e fu subito pronto per partire.
Scesero in strada, dove la città già si svegliava. Strani suoni risuonavano intorno: «Buongiorno!», «Ciao!», «Ué, comme staje?»
Beni guardò curiosamente sua zia.– Cosa significa «Ué, comme staje?»
La zia rise:– «Ué, comme staje?» in dialetto napoletano vuol dire «Ehi, come stai?»
Beni le ripeté subito, sottovoce, mentre camminavano fino a un piccolo caffè in un vicolo stretto. Il posto era pieno di profumi: paste appena sfornate, caffè, cioccolato, vaniglia...
Lì la zia ordinò due cornetto – un dolce di pasta burrosa e dolce, spolverato di zucchero a velo e ripieno di una morbida crema.
– A Napoli la gente ama cominciare la giornata dolcemente – spiegò la zia. – Un tempo la vita qui era spesso dura, ma non volevano rovinarsi la mattina. Perciò si coccolavano con qualcosa di dolce all’inizio, per far bene il giorno. E sai, i napoletani credono che un po’ di felicità al mattino può bastare per tutto il giorno!
Si sedettero a un piccolo tavolo, e quando il barista, un signore gentile con i baffi, si avvicinò, disse:
– Vedo che oggi abbiamo un giovane ospite nuovo, allora oggi dovete provare la sfogliatella! Beni guardò la zia con gli occhi interrogativi.
– La sfogliatella è un famoso dolce napoletano – spiegò la zia sorridendo. – Guarda, sembra una conchiglia, fuori è croccante, dentro una dolce crema di ricotta e fiori d’arancio.
Il barista intanto indicava con orgoglio un vassoio pieno di piccoli dolci dorati e a strati.
– Sai, Beni – continuò la zia – la leggenda dice che la sfogliatella nacque in un vecchio convento, dalle suore di San Rocco. Un giorno una suora voleva usare un po’ di ricotta avanzata, zucchero, scorza d’arancia candita e semolino per non sprecare niente. Con questi ingredienti inventò un nuovo dolce, lo mise in una sottile pasta che fece a strati e lo infornò. Così nacque la sfogliatella, che significa “piccole foglioline”.
Beni ascoltò con gli occhi che brillavano, mentre assaggiava la sua prima sfogliatella. La pasta scricchiolava sotto i suoi denti, e dentro la crema si scioglieva dolcemente nella sua bocca.
– Mmmm! – mormorò con la bocca piena. – È deliziosa!
La zia intanto gli ricordava:
– Se vuoi ringraziare per la buona colazione, puoi dire «Grazie!» e quando ti saluti dal barista, «Arrivederci!».
Beni le ripeté con entusiasmo:– Grazie! Arrivederci!
Quando finirono la colazione, Beni sapeva già che le giornate napoletane ogni mattina potevano portare una nuova meraviglia – che fosse un gusto, un sorriso o una nuova parola da imparare.
Dopo aver salutato il barista con Grazie! e Arrivederci! , la zia gli prese la mano e si incamminarono lungo una stradina stretta, con i ciottoli sotto i piedi. La luce del mattino colorava d’oro i muri delle case.
In fondo alla via si apriva una piccola piazza. Su una panchina sedeva un vecchietto. Aveva un mandolino sulle ginocchia e pizzicava dolcemente le corde.Beni si fermò. I suoni lo avvolsero come una coperta morbida, e sembrava che anche l’aria respirasse insieme alla melodia.
Quando il vecchietto cominciò a suonare una melodia bellissima, tutta la piazza sembrò risplendere. Il sole danzava sui vetri delle finestre e gli uccellini cinguettavano come se accompagnassero la musica.
Il vecchietto cantava piano:
«Che bella cosa na jurnata ’e sole...»
Beni ascoltava incantato.
– Che cos’è questa canzone? – sussurrò.
– È ’O Sole Mio – rispose la zia. – È una delle canzoni più famose di Napoli. Il titolo significa: “Il mio sole”, o “Il mio raggio di sole”.
– È bellissima... – disse Beni, chiudendo di nuovo gli occhi per ascoltare meglio.
La zia sorrise e cominciò a raccontare sottovoce:
– Sai, anche questa canzone ha una storia speciale. Più di cent’anni fa, un musicista chiamato Eduardo di Capua viaggiava lontano da casa, in Russia, con suo padre. Una mattina di primavera ricevette una lettera dal suo amico, Giovanni Capurro, un poeta napoletano. Dentro c’era una poesia – ed è diventata il testo della canzone.
– Quindi... la canzone è nata a Napoli? O no? – chiese Beni, incuriosito.
– La poesia veniva da Napoli, ma la musica è nata lontano, in una città straniera. Eduardo guardava il sole, che era bello anche lì… ma nel suo cuore pensava: “Il mio sole non è qui. Il mio sole splende a Napoli.”
Beni rimase in silenzio. Immaginò quell’uomo, seduto lontano da casa, che pensava a un sole che non era nel cielo, ma in un ricordo o in un sorriso.
Proprio in quel momento il vecchietto cantò:
«Ma n’atu solecchiù bello, oi nè...»
– E questo che vuol dire? – chiese Beni.
– Significa: “C’è un altro sole… ancora più bello, lo sai?” – spiegò la zia dolcemente.
– Vuol dire che anche se il sole brilla nel cielo, quello più bello è la persona che ami. Quando lei è vicino a te… è come avere il sole nel cuore.
Beni ci pensò un attimo. Poi disse piano:
– Oggi… il mio sole sei tu.
La zia lo abbracciò stretta-stretta.
Il vecchietto continuava a cantare, e mentre riprendevano la passeggiata nella piccola piazza, il sole sembrava davvero più caldo.

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