8. Il silenzio di Santa Chiara
- centericsilla
- 21 ott
- Tempo di lettura: 4 min

In una mattina piena di sole, la zia di Beni aveva un impegno al Monastero di Santa Chiara, e Beni decise di accompagnarla. Quella mattina la zia non era molto loquace – come spesso accade agli adulti pensierosi –, immersa nei propri pensieri, e così Beni camminava accanto a lei in silenzio. Per fortuna, la città seppe subito distrarlo: Napoli era piena di musica. I musicisti di strada cantavano, il mare mormorava, e i bambini giocavano a palla nei vicoli.
Si fermarono davanti a un alto muro bianco, sul cui portone si leggeva in lettere dorate:
Monastero di Santa Chiara.
Tra le mura alte e dorate del convento regnava una pace profonda; si udivano solo il dolce suono di una campana lontana e il tubare delle colombe. Nell’aria aleggiava una magia sottile, come se le storie del passato sussurrassero ancora tra le pietre.
Varcarono la soglia, e in quell’istante… il mondo tacque.
Non si sentiva più il rumore della città, né il clacson delle auto, né il frangersi delle onde. Solo il canto degli uccelli e il sussurro del vento tra gli alberi.
– Sembra che la pace viva davvero qui… – sussurrò Beni. La zia sorrise, gli accarezzò la testolina e disse:
– Aspettami qui, d’accordo?
Proprio allora gli si avvicinò una suora anziana, con l’abito bianco come le nuvole e un sorriso caldo come il sole.
– Benvenuto, piccolo viaggiatore – disse dolcemente. – Il silenzio di Santa Chiara raramente accoglie visitatori.
– È così strano… non si sente nulla della città! – esclamò Beni meravigliato.
– Come mai?
– Questo luogo è speciale – rispose la suora.
– La leggenda narra che, quando fu costruito il monastero, Santa Chiara benedisse le mura dicendo:
«Chi entra qui, ascolti ciò che gli sussurra il cuore, non il rumore del mondo.»
Da allora, queste mura custodiscono il silenzio come un abbraccio materno.
Camminando nel chiostro, gli occhi di Beni si spalancarono per lo stupore. Il giardino era circondato da maioliche colorate e splendenti: ogni colonna, ogni panchina raccontava una storia, come le pagine di un libro di fiabe.
– Che meraviglia! – esclamò Beni. – Chi ha dipinto tutto questo?

La suora sorrise.
– Tanto tempo fa, la regina Giovanna le fece realizzare. Desiderava che il monastero non fosse un luogo triste, ma che ricordasse a tutti la bellezza del mondo. Così chiamò pittori e artigiani da Capri, Sorrento e Napoli, perché portassero qui la gioia dei colori.
– E perché proprio questi colori? – chiese Beni, accarezzando con la zampetta un fiore dipinto.
– Il blu è il colore del cielo – spiegò la suora
– per ricordare che la luce viene sempre dall’alto.
Il giallo ricorda il sole, che dà vita a ogni cosa.
Il verde simboleggia la rinascita, la speranza. Insieme, sono i colori della pace.
Beni annuì, affascinato, e continuò a osservare le immagini.
– Lì c’è un giardino, laggiù un fiume… e guarda, quelli stanno facendo un picnic!
– Sì – sorrise la suora.
– Rappresentano le gioie della vita: la natura, l’amicizia, il riso, la musica. La regina diceva:
«Che questo monastero sia insieme la casa del silenzio e della gioia.»
Poi si chinò verso Beni e abbassò la voce.
– Ma c’è un segreto che pochi conoscono.
– Quale? – chiese Beni con gli occhi che brillavano di curiosità.
– Le maioliche furono posate di notte – sussurrò la suora.
– Gli artigiani lavoravano, ma quando si addormentarono, le stelle scesero dal cielo e con la loro luce toccarono i disegni. Così nacque quel bagliore speciale che non si è mai spento. Se guardi bene, vedrai che i fiori e gli uccelli sembrano vivi – perché dentro di loro c’è la luce delle stelle.
Beni si avvicinò a una piastrella, e davvero: la luce danzava sulla superficie come polvere d’oro.
– Ecco perché brillano! – esclamò stupito.
– Sì – disse la suora.
– Perché la bellezza non nasce solo dalle mani degli uomini, ma anche dal cielo.
Si sedettero su una panchina. Il giardino era quieto; solo un’arancia cadde piano sull’erba. Beni sospirò profondamente.
– Qui l’aria è diversa… sembra che anche dentro di me tutto diventi più silenzioso.
– Questo silenzio non è vuoto, Beni – disse la suora.
– È pieno di ricordi, di preghiere, di amore. Queste mura hanno ascoltato il battito di tanti cuori – e ora custodiscono anche il tuo.
Beni sorrise, accarezzando un fiore blu e verde.
– Credo di capire perché ci sono così tanti colori qui – mormorò.
– Perché anche il silenzio può essere colorato.
La suora annuì.
– Hai ragione, piccolo amico. Chi impara ad ascoltare, scopre i veri colori del mondo.
Quando Beni tornò verso casa quella sera, si voltò un’ultima volta alla porta del monastero. Il sole del tramonto accarezzava le maioliche, e per un istante gli parve che le immagini prendessero vita: i fiori ondeggiavano, gli uccelli cinguettavano, le piccole figure ridevano e salutavano.
Beni sorrise. Il rumore della città lo avvolse di nuovo, ma non gli dava più fastidio. Sapeva che il silenzio trovato lì non era rimasto tra le mura – era rimasto con lui, dentro di lui.
E quella notte, prima di addormentarsi, sentì di nuovo il dolce suono della campana,mentre i colori di Santa Chiara lo avvolgevano piano, come un sogno sereno e luminoso.


Commenti